lunedì 31 agosto 2009

Ordinaria follia. I posti di lavoro si vincono al concorso a premi.



Una nota catena di supermercati bandisce un concorso a premi. E fin qui nulla di strano. Leggendo il volantino distribuito a tappeto in tutta la provincia di Varese, però, si apprende che il primo premio sono 10 POSTI DI LAVORO. Alcune considerazioni. La prima è che la catena di cui sopra evidentemente non seleziona il personale (chiunque può vincere i fantomatici posti). La seconda è che, probabilmente, il concorso non è legale, perché riservato esclusivamente ai residenti in Italia (facciamo parte di una cosa che si chiama Unione Europea, dove, per legge, i cittadini degli altri paesi membri non possono essere discriminati a priori in ambito lavorativo). Terza e più grave considerazione, il concorso a premi. Una volta si vincevano soldi, automobili, viaggi, beni di lusso insomma. Non la possibilità di venire sfruttati per 40 ore settimanali, con un lavoro a tempo determinato, pagati un obolo. Ciò che dovrebbe essere diritto costituzionale è diventato chimera, terno al lotto, lotteria. Ultima considerazione, il signore che si è inventato questo concorso è un gran furbone: le persone che verranno assunte probabilmente sarebbero state assunte comunque, e così il costo del concorso è pari a zero. Notate infine gli occhi della ragazza della pubblicità, che brillano di gioia grazie a fotoshop.

giovedì 13 agosto 2009

Vacanze partigiane

Un saluto a tutti voi, da domani il blog chiude e ci si risente a settembre. Per la cronaca, andrò a passare due settimane in Val Vigezzo, che oltre che per i funghi e i pittori è famosa per aver fatto parte, nel 1944 della Repubblica Partigiana dell’Ossola. Vi riporto il lemma di wikipedia: “La Repubblica dell'Ossola fu una delle numerose repubblica partigiane sorte nel Nord Italia. Questa repubblica esistette dal 9 settembre al 22 ottobre 1944. I partigiani del CLN, l'8 settembre 1944 attaccarono le truppe fasciste di stanza a Domodossola, sconfiggendole e proclamando la repubblica. A differenza di altre Repubbliche partigiane la Repubblica dell'Ossola fu in grado, in poco più di un mese di vita, di affrontare non solo le contingenze imposte dallo stato di guerra, ma anche di darsi un'organizzazione articolata: vennero assunti funzionari (commissari) per l'amministrazione civile con il potere di assumere impiegati, venne vietata l'esportazione di valuta, venne rinnovata la toponomastica della valle. Tutte le leggi e i corpi militari fascisti vennero sciolti in soli 2 giorni. Salò reagì tagliando i rifornimenti all'intera valle, ma, dopo alcune incertezze, la piccola repubblica ottenne l'appoggio della Svizzera. Il 10 ottobre i fascisti attaccarono con 14.000 uomini e, dopo aspri scontri, il 23 ottobre riconquistarono tutto il territorio. La gran parte della popolazione abbandonò la Val d'Ossola per rifugiarsi in Svizzera lasciando il territorio pressochè deserto impedendo di fatto le forti rappresaglie che furono minacciate dai fascisti e dal capo della provincia in particolare. A tal proposito proprio il capo della provincia Enrico Vezzalini scrisse il famoso comunicato a Mussolini che recitava: "Abbiamo riconquistato l'Ossola, dobbiamo riconquistare gli Ossolani". La storia della Repubblica dell'Ossola è stata narrata nello sceneggiato di Leandro Castellani Quaranta giorni di libertà e dal libro di Giorgio Bocca Una repubblica partigiana (1964)”. Noi che siamo materiale resistente, non riciclabile, non facilmente smaltibile, ci teniamo alle nostre radici. E, detto per inciso, quella che viene definita come Insubria è per un terzo composta dalla ex repubblica dell’Ossola. Insubria rossa, quindi.

mercoledì 12 agosto 2009

“Quando la lotta è di tutti e per tutti"

“Il tuo padrone vedrai cederà”, cantava qualche millennio fa Ivan della Mea (http://www.youtube.com/watch?v=CyhSwJVkF3U sentitevela qua, se avete voglia, è una bellissima versione di Cisco) ed effettivamente questo è successo alla Innse, azienda metalmeccanica milanese che ha lottato per oltre un anno per evitare smantellamento e licenziamento. Bravi gli operai che sono stati giorno e notte sul carroponte, e bravo anche il sindacalista (questo sì, è un sindacalista!) della Fiom che è stato con loro. Nessuno verrà licenziato, pare. La canzone di Ivan della Mea (che si intitola “O cara moglie”) in una strofa dice: “Mi han licenziato senza pietà / ed il motivo è perché ho scioperato / per la difesa dei nostri diritti / per la difesa del mio sindacato / per il lavoro, per la libertà”. Già, perché diritti, lavoro e libertà (libertà: di questa parola sono in giro stuoli di usurpatori) sono sempre stati simboli e valori della sinistra, e mentre il PD litiga per le regole delle primarie (ma sceglietevelo tra di voi 'sto cazzo di segretario!) e i comunisti pensano alla prossima scissione atomica, finalmente qualcuno ha capito – in Francia lo avevano già capito da un po’ – che le lotte si devono condurre dal basso. Ripartiamo dall'ABC.

martedì 11 agosto 2009

È arrivato il proibizionismo. Una birra per strada costa 500 euro.

Oltre a pericolose censure alle quali ci ha ormai da tempo abituato l’assordante silenzio di un’opinione pubblica drogata, oltre alla legalizzazione delle nuove squadracce fasciste, oltre al fatto che una delle più alte cariche della Repubblica sia un borioso puttaniere, ora ci si mette anche la microdeficienza degli amministratori locali a peggiorare le cose: a Gallarate siamo tornati ai tempi del proibizionismo, con l’aggiunta dell’invito a nascondere in pubblico bevande alcoliche (avete presente i clochard americani con la bottiglia nel sacchetto di carta?). Accade infatti che in questo paesone industriale della provincia di Varese l’ordinanza anti alcol (per strada, ovviamente, così i cattivi extracomunitari non possono più bere senza sedersi ai tavoli interni) ha mietuto la prima vittima. L'ordinanza vieta di bere alcolici, tanto nei parchi pubblici quanto in piazze e strade, tutti i giorni dalle 19 alle 8. Un divieto che, per i minorenni, si estende fino a coprire l’intero arco delle 24 ore. Per chi ancora non ha 18 anni, è punita anche la detenzione in assenza dei genitori o di chi esercita la patria potestà. Domenica sera la polizia locale di Gallarate ha multato un giovane di 28 anni pizzicato con una bottiglia di birra (di birra!) in mano in piazza Risorgimento. Impegnati in un normale controllo, i vigili hanno sorpreso il ventottenne mentre passeggiava e l’hanno multato: la sua refrigerante bibita gli è costata la bellezza di 500 euro, sanzione massima (simpatici i vigili, eh?) prevista dal provvedimento.

lunedì 10 agosto 2009

La storia di Anna, badante ''regolare''


"Dodici famiglie, dieci morti, uno lasciato”. È il personale bilancio di sette anni di lavoro come badante di Anna. Lo sintetizza con chiarezza, a dispetto del suo italiano stentato, che peggiora quando la fretta di raccontare la incalza. Viene dalla Moladavia. Nell’immaginario collettivo i “clandestini” arrivano per mare su un gommone o aggrappati al telaio dei camion: per molti è davvero questa la strada che porta in Italia, ma in realtà la maggior parte (in media oltre il 60% degli ingressi l’anno, secondo i dati del ministero dell’Interno) transita dalle frontiere con visti regolari. Anna è una di loro. È arrivata con un visto turistico di 10 giorni in Ancona nel 2000, senza soldi e senza conoscere l’italiano, nemmeno per le richieste minime ma essenziali. Ha pagato 200 euro il biglietto di viaggio, ma, dice, c’è chi arriva a pagare anche 800 euro per entrare in Italia con la speranza di un lavoro. Nei primi giorni ha dormito per strada, “una notte vicino al mare”, poi ha incontrato una donna ucraina in stazione, l’ha sentita parlare e forse per un attimo si è sentita meno straniera. È stata lei a darle l’indirizzo della Caritas, dove è stata aiutata e accolta per i primi 45 giorni della sua permanenza in Italia. Poi il primo impiego, da irregolare, presso un prete, che si è preso cura di lei per due anni e le ha permesso di mettersi in regola con la sanatoria del 2002. Ha un diploma di infermiera e, nel suo paese, ha lavorato con persone psichiatriche, epilettiche e tossicodipendenti; racconta che il suo lavoro era esattamente uguale a quello delle infermiere italiane: flebo, medicazioni, farmaci. Per questo in Italia ha curato anche persone malate, anche in condizioni molto grave, malati di tumore. La Perestroika ha messo in ginocchio il sistema economico e la sua vita: due figli da far studiare e un marito che si ammala di cuore e ha bisogno di un intervento quando ormai lo stipendio è ridotto a pochi spiccioli. “Sono venuta solo per lavorare e guadagnare”. La spinta è il bisogno economico, la disperazione: per questo non vuole restare in Italia a lungo. Non tutti i lavori sono andati bene ricorda Anna: “Piangevo notte e giorno. Mi dicevano: non fai niente, non capisci niente, non sai cucinare, mangi troppo”. (da “Redattore sociale”)

venerdì 7 agosto 2009

Troppi cinesi in dormitorio

Sempre più cinesi nelle mense e nei dormitori dei poveri a Milano. Il motivo? Gli sgomberi effettuati dalle forze dell'ordine negli alloggi di fortuna della Chinatown milanese. A registrare questa nuova presenza sono le stesse strutture di accoglienza, come quella dei Carmelitani Scalzi di via Canova, che si trova proprio a due passi dal quartiere e che tutti i giorni offre il pranzo ai disagiati. I nuovi senzatetto di nazionalità cinese non parlano italiano né inglese, sono per lo più uomini giovani; hanno chiesto coperte e vestiti e di giorno un pranzo. Vivevano nei magazzini abusivi di Paolo Sarpi, in rifugi di fortuna e avevano lavori saltuari. Poi sono stati fatti sgomberare. Sono arrivati in Italia con un visto turistico, quindi da regolari, ma ci sono rimasti da clandestini quando il visto è scaduto. Hanno trovato un appoggio a basso prezzo (dai 5 agli 8 euro) presso la comunità cinese di Milano che, in qualche modo, è stata ed è tuttora il loro unico tramite per trovare un alloggio e un lavoro. Ora che sono stati sgomberati sono completamente lasciati a loro stessi per le strade della città. Che fare di questi “pericolosi delinquenti”?

giovedì 6 agosto 2009

Detenuti in rivolta a Ivrea

Ieri nel carcere di Ivrea cinque detenuti, tutti di nazionalità algerina, per protesta si sono automutilati utilizzando lamette da barba. Dopo l'intervento della polizia penitenziaria per sedare la rivolta, cinque agenti sono finiti in ospedale "per accertamenti sanitari per possibile rischio contagio; uno ha riportato anche la rottura della mano". A riferirlo è il segretario generale dell'Osapp (Organizzazione Sindacale Polizia Penitenziaria), Leo Beneduci, che invoca l'intervento del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, definito "ministro smaterializzato". "Il fatto l'abbiamo appreso solo oggi - spiega l'esponente dell'Osapp - ma è avvenuto ieri alle 13 nella sezione primo livello della casa circondariale eporediese. Lo spettacolo che si mostrava agli agenti penitenziari intervenuti era veramente terribile: basti solo pensare al sangue che scorreva a fiumi e ai brandelli di carne strappata sparsa su tutto il pavimento della sezione. Uno spettacolo agghiacciante che ci ha riferito un nostro collega, che per il disgusto ci ha raccontato di essersi sentito anche male. Soprattutto quando i cinque manifestanti hanno rifiutato di ricevere le cure necessarie e di rientrare in cella e con le lamette hanno iniziato a minacciare gli altri agenti accorsi". Il segretario generale dell'Osapp ricorda anche quanto avvenuto lo scorso 1 agosto a Lucca: "Quella che doveva essere la solita pacifica protesta dei detenuti mediante battitura delle inferriate si è trasformata in una rivolta vera e propria. Oramai che si brucino i materassi e si utilizzino le bombolette del gas come molotov è un fatto consueto, drammatico ma purtroppo consueto. Sta di fatto che da una semplice dimostrazione di disagio, nel penitenziario di Lucca, si è arrivati ad una sezione detentiva completamente distrutta, che si aggiunge a quella chiusa ad Ivrea per precauzione igienica".

mercoledì 5 agosto 2009

L’esercito contro gli ambulanti sulle spiagge

VENEZIA - Esercito in città e polizia provinciale armata lungo le spiagge veneziane? "Sono misure assolutamente fuori luogo” è il commento di don Dino Pistolato, direttore della Caritas provinciale che si accoda ai giudizi negativi del sindaco Massimo Cacciari e del suo vice, convinti sostenitori dell'inutilità di tali metodi. In tema di sicurezza e ordine pubblico il dibattito nel territorio lagunare si fa dunque acceso. Sull"invio dell’esercito per presidiare il territorio Pistolato si dice del tutto contrario, perchè “già in tempi non sospetti ho avuto modo di ricordare che Venezia e la provincia sono assolutamente sicure e ora questa mia certezza è dimostrata anche dai dati del Vicinale diffusi ieri. Quindi non c’è bisogno né di esercito né di altre misure eccessive”. Per quanto riguarda, invece, il pattugliamento delle spiagge da parte di agenti della polizia provinciale armati contro i venditori ambulanti, voluto dalla neopresidente provinciale Francesca Zaccariotto (Pdl), il direttore della Caritas lo definisce “un criterio da elefante per schiacciare una pulce”. E aggiunge: “Non è una caccia alle streghe che si risolve in questo modo, né con le blindature delle spiagge. In più la gente dimostra di non apprezzare questi metodi e non a caso capita che si metta a difendere il venditore ambulante contro la polizia. In più il fenomeno non è significativo e le risorse delle forze dell’ordine dovrebbero essere utilizzate altrove, ad esempio per combattere la criminalità, lo sfruttamento e altre piaghe ben più importanti”. Intanto le prime pattuglie sono scese in campo da ieri (4 agosto) a Bibione e resteranno operative per tutto il mese di agosto. Ogni giorno saranno schierate due squadre composte da due elementi, che lavoreranno fianco a fianco con i vigili urbani. Nel corso del mese saranno garantiti 48 turni di servizio, per un totale di 600 ore. A breve partiranno analoghi esperimenti a Jesolo, Cavallino, Eraclea, Caorle, Chioggia. (da “Redattore Sociale”)

lunedì 3 agosto 2009

Nelle carceri venete situazione esplosiva


Fuori, temperature che superano da giorni – se non settimane – i 30 gradi. Dentro, celle strapiene e sopra il limite tollerabile della capienza. La calda estate dei detenuti veneti – e non solo veneti – è sotto il segno del sovraffollamento e del disagio: in celle da una persona tradizionalmente condivise da due detenuti ormai si dorme, se va bene, in tre e in alcuni casi anche in quattro. A Rovigo i detenuti sono stipati nella vecchia sede, mentre quella nuova deve ancora essere finita. Anche qui dormono in quattro o cinque in celle da due. La situazione è oltre il tollerabile in tutte le carceri. L’istituto maschile di Santa Maria Maggiore a Venezia, poi, è il peggio del peggio e doveva essere chiuso vent’anni fa: è una struttura vecchia, fatiscente, che si allaga con l’acqua alta! E in tutto questo c’è un immobilismo politico che lascia senza parole: in Parlamento si fanno le leggi su misura ma non pensano a chi avrebbe bisogno davvero di interventi.