mercoledì 25 novembre 2009

Donne che subiscono violenza

Dossier “Rompere il muro del silenzio" presentato a Strasburgo. È solo il 18,2% delle donne europee a considerare la violenza subita in famiglia un reato: la maggioranza, il 44% la considera semplicemente qualcosa di sbagliato. Per il 36% delle intervistate l’abuso è solo “qualcosa che è accaduto”. Ma la violenza rappresenta la prima causa di morte e di invalidità delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 44 anni, più del cancro e degli incidenti stradali. Circa un quarto delle donne europee, dal 20% al 25%, hanno subito una violenza fisica almeno una volta nella vita. E il costo per l’Ue supera i 33 miliardi. In Italia 6 milioni e 743 mila donne dai 16 ai 70 anni hanno subito violenze.

martedì 22 settembre 2009

La dolcezza entra in carcere


La dolcezza apre tutte le porte. Anche quelle del carcere di Busto Arsizio (casa circondariale per detenuti in attesa di giudizio), dove per il secondo anno consecutivo sta per partire il progetto “Dolce in carcere”: corsi di pasticceria tenuti da cinque maestri pasticceri per dare una qualificazione professionale ai detenuti. L'anno scorso, i primi due corsi hanno coinvolto una ventina di persone, tra italiani e stranieri: cinque maestri pasticceri si alternano una volta a settimana per insegnare a preparare biscotti, frolle, cannoncini, torte e crostate. Per ora i corsi si sono svolti in un locale attiguo alla cucina del carcere, ma si sta completando il laboratorio di pasticceria autonomo per iniziare la produzione interna e dare la possibilità ai detenuti di reinserirsi in modo pieno nella società. Il progetto è stato finanziato dall'associazione carcerati di Gallarate, con contributi della Provincia, della Fondazione San Giuseppe degli artigiani della provincia di Varese, sponsor privati e di aziende del territorio.

lunedì 21 settembre 2009

La Sardegna citerà per danni la Gelmini?

Cattedre di sostegno dimezzate nell’Isola. I tagli annunciati al personale docente e non docente hanno, di fatto, cambiato il volto del sostegno nelle scuole sarde. Classi più numerose, sostegno agli alunni con disabilità di 9 ore o addirittura di quattro ore e mezzo alla settimana, ma anche collaboratori scolastici insufficienti per coprire le esigenze degli studenti che necessitano di un’assistenza continua negli istituti. A denunciarlo sono i volontari dell’Associazione bambini cerebrolesi (Abc Sardegna), pronti non solo a scendere in piazza ma anche a rivolgersi ai tribunali per scongiurare il pericolo di vedere i loro figli senza un adeguato sostegno scolastico. “Siamo disposti – dice Luisanna Loddo, presidente di Abc – a ricorrere al Tribunale contro Il Ministero per difendere il diritto allo studio dei nostri figli. Siamo consapevoli che la battaglia per uno solo dei nostri ragazzi è una battaglia per i diritti di tutti”.
“È lo stesso Consiglio di Stato – fanno sapere dall’Abc – con ordinanza del 24 febbraio scorso, che ha confermato quanto i tribunali stanno continuamente ribadendo: cioè che il rapporto di sostegno, nonostante quello medio di uno a due indicato dalla finanziaria nazionale, non escluda attente valutazioni caso per caso in base alle esigenze reali rilevate”. A sollecitarlo è anche Francesca Palmas, responsabile Scuola dell’associazione: “Certo è terribile per le famiglie trovarsi di fronte ad un tribunale e sostenere spese e stress per ottenere un diritto che è costituzionalmente garantito. Si stanno verificando casi gravissimi come quello emblematico di una scuola di Vercelli in cui sono presenti 7 alunni con disabilità, una ‘classe speciale’ all’interno di una scuola pubblica è quanto di più lontano ci sia dal concetto di integrazione. Si prospetta la possibilità di fare ricorso anche rispetto alla normativa sulla sicurezza nelle classi. Potrebbe pertanto verificarsi che, a causa della scarsa attenzione degli Uffici scolastici, molte classi vengano dichiarate inagibili, con conseguente interruzione dell’attività didattica, sino al raggiungimento di soluzioni legittime”. (da “Redattore Sociale”)

venerdì 18 settembre 2009

La Lega attacca la Procura di Bologna


La Lega Nord ieri ha accusato la Procura di Bologna di essere fortemente politicizzata per aver sollevato eccezione di costituzionalità alla legge contro l'immigrazione clandestina, e annuncia che raccoglierà firme nel centro di Bologna per chiedere l'applicazione della norma. La raccolta, spiega in una nota il segretario cittadino Manes Bernardini, partirà sabato 26 settembre con un banchetto allestito in via D'Azeglio angolo via Farini e proseguirà, nello stesso punto, per altri due sabati consecutivi. Lì "i cittadini bolognesi potranno firmare ed attestare la loro richiesta di applicazione della legge che prevede il reato di immigrazione clandestina", scrive Bernardini. Poi, attacca duramente la Procura, contro cui ieri aveva già tuonato il 'collega' Angelo Alessandri, definendo la mossa dei magistrati un tentativo di scardinare la legge. Il signor Bernardini dovrebbe rispettare di più il compito dei magistrati, non spetta né a lui né ai cittadini bolognesi prendere decisioni sulla costituzionalità della legge, bensì alla corte costituzionale che agisce solo ed esclusivamente in base al testo di quel magnifico libretto che è la nostra Costituzione repubblicana che, per fortuna, ancora esiste e resiste.

giovedì 17 settembre 2009

Berlusconi l’inconcludente

Mentre il nostro piccolo amico rancoroso si dibatte in prima serata facendo registrare lo share più basso del programma di Vespa dal 1999 ad oggi, mentre lo stesso si pavoneggia prendendosi meriti altrui e urlando ai quattro venti che lui, il miglior e più longevo presidente del consiglio degli utlimi 150, ha risolto i problemi del terremoto in Abruzzo in tempi record, mentre i suoi ministri sfasciano quel che resta della scuola pubblica e dell’università, apprendiamo che in Italia più di una scuola su due (il 54% degli istituti) si trova in aree a rischio sismico (e non è antisismica) e il 26% dei plessi è in zone a rischio idrogeologico. Inoltre, per restare in argomento, è provvista del certificato di agibilità statica solo una scuola su tre (32%), ed una su 4 ha i certificati di agibilità igienico-sanitaria (26%) e di prevenzione incendi (27%). Le aule sono un disastro: nel 24% ci sono cavi volanti, nel 52% armadi non ancorati alle pareti che possono cadere addosso ai ragazzi, nel 29% ci sono interruttori divelti. E quest’anno, per via dei tagli, si rischia anche il “sovraffollamento”. Con le palestre non va meglio: il 34% delle scuole monitorate non ne ha una. Per il resto conquistano la palma dell'ambiente più sporco e ben poco adeguato ai disabili (ben il 22% presenta barriere architettoniche). Dopo ci sono aule e mense. E mentre si parla di influenza suina e di strategie per la prevenzione nelle scuole da anni ormai i bagni sono senza sapone. Quest'anno sono il 61% del totale! Fare qualcosa di concreto per questi problemi no, eh? Meglio le passerelle televisive e le escort…

martedì 15 settembre 2009

Cari amici della lega, se fosse capitato a voi?

Sono 13 i cittadini somali che hanno depositato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia per essere stati respinti in Libia lo scorso 6 maggio. A. è uno di loro. Appartiene alla minoranza degli Ashraf. È nato nel 1983 a Mogadiscio, ed è sempre vissuto nella capitale fino a quando, nel 2006 è stato costretto a abbandonare il paese, lacerato da anni di guerra civile e violenze claniche. Gli Ashraf in particolare hanno dovuto subire negli anni numerose persecuzioni da parte dei clan maggioritario del paese, gli Hawiye. Nel 2004, il padre di A. venne ucciso per mano di un esponente del clan degli Hawiye, che aveva cercato di estorcergli con la forza i documenti attestanti la proprietà della loro casa. E lo stesso A. era stato costretto sotto minaccia a divorziare dalla moglie. Dopo la morte del padre, la responsabilità per il sostentamento e la tutela della madre e della sorella, pesava su A. Ma soltanto due mesi dopo, la sorella scomparve. L’avevano vista uscire di casa con una vicina. Si pensa che l’abbiano portata in Yemen. La decisione di lasciare Mogadiscio maturò nel 2006, dopo che le milizie delle Corti islamiche ebbero preso il controllo della città. Per tutelare la propria incolumità, A. fuggì in Etiopia, ma era senza documenti, e venne arrestato alla frontiera e detenuto per otto mesi, prima di essere rilasciato e ritornare in Somalia, a Hargeysa, da dove ripartì immediatamente per Gibuti, e poi – dopo un altro mese di carcere – per il Sudan, dove consegnandosi spontaneamente alle autorità venne trasferito nel campo profughi di Kasala. Cinque mesi dopo riuscì a attraversare il deserto del Sahara e a entrare in Libia. Era il luglio del 2007. Un anno dopo, nell’agosto del 2008 riusciva a imbarcarsi per l’Italia. Ma l’imbarcazione rimase presto senza carburante e finì alla deriva nel Canale di Sicilia. Passavano i giorni e i soccorsi non arrivavano. Cinque persone morirono disidratate e di stenti. La salvezza arrivò da una nave spagnola. Il peschereccio “Clot de l'Illot”, che il 22 agosto del 2008 attraccò nel porto di Tripoli consegnando i 49 naufraghi alle guardie libiche. A. venne nuovamente arrestato. A Tripoli, nel carcere di ‘Ain Zara, dove venne detenuto per otto mesi. Lo rilasciarono nell’aprile del 2009. Non volle aspettare altro tempo, e comprò un passaggio sulla prima imbarcazione diretta a nord, insieme a altri 45 passeggeri. E per la seconda volta in un anno, venne respinto. Stavolta però dalle autorità italiane. Era il 6 maggio del 2009. Oggi, quattro mesi dopo, si trova ancora in un campo di detenzione in Libia, pur essendo un potenziale rifugiato politico, e pur essendo difeso da un avvocato dinnanzi alla Corte europea. (da "Redattore sociale")

lunedì 14 settembre 2009

È fascismo. Ormai ci siamo.


L'Italia del ventennio fascista? Nel ricordo degli anziani e nelle descrizioni dei mezzi di comunicazione di massa dell'epoca era un Paese quasi perfetto, un'isola felice senza disoccupazione e senza criminalità, dove per di più - miracolo - i treni arrivavano sempre in orario. Si trattava della prova di un'efficienza amministrativa mai più raggiunta da allora o di una visione artefatta, 'suggerita' dall'alto a cronisti compiacenti o timorosi? La grande mole di 'veline', cioè di direttive ora insinuanti ora minacciose rivolte dai gerarchi e in molti casi da Benito Mussolini in persona agli operatori dell'informazione affinché dessero versioni edulcorate o manipolate ad arte degli eventi sembra suggerire proprio questo (illuminante il libro “Le veline del duce”, Sperling e Kupfer, 2004). Nei preziosi documenti usciti fuori dagli archivi di tutte le maggiori testate giornalistiche il regime detta la linea proprio su tutto, dalla censura rigidissima su scioperi, manifestazioni o malcontenti (vi ricorda niente?) all'alimentazione, allo sport, alla politica estera, alla cronaca nera, perfino sulla lunghezza delle gonne delle donne. Ecco un esempio: “Si ricorda che i furti fanno parte della cronaca nera, che deve essere limitatissima e pubblicata, anche nei casi di maggior mole, con nessun rilievo. (29 agosto 1942)” che tradotto nell’Italia dove regna la telecrazia del nanetto brianzolo (speriamo torni presto o tardi in un giardino) suona più o meno così “Si ricorda che le notizie di propaganda di regime devono essere affidati a lacché di consolidata fede, che si prestino ad infangare il mestiere di giornalista per compiacere il padrone”. E domani sera non va in onda Ballarò, mentre in prima serata Bruno Vespa conduce un puntata speciale di Porta a Porta sulla consegna delle nuove case in Abruzzo.